Alla riunione di comitato di venerdì scorso uno di noi ha chiesto se avevamo letto la lettera apparsa quella stessa mattina sul Gazzettino (ed in seguito anche sul Corriere delle Alpi). E subito dopo ce l’ha “raccontata” con un grande trasporto ed una sofferta intensità.
Aggiungendo questa semplice constatazione: senza Autonomia, sul territorio bellunese è difficile pensare di poter continuare a garantire determinati servizi (come quelli scolastici) ai paesi posti a 400 metri sul livello del mare, figuriamoci a quelli posti fra gli 800 ed i 1200, per non parlare del caso specifico descritto in modo così accorato da una mamma di Agai, frazione di Livinallongo, nell’articolo qui proposto in lettura.
E’ difficile pensare, leggendo queste cronache, che qualcuno abbia ancora il dubbio se sia giusto o meno concedere alla Gente Bellunese di esprimersi sul referendum provinciale per Belluno Autonoma. Intanto, lasciamo parlare la gente vera, come la mamma di Agai, gente che non si tira indietro se bisogna tirarsi su le maniche per sopravvivere, non già per vivere, come sarebbe nostro sacrosanto diritto.
L’Autonomia non è un privilegio, è la sola condizione affinché la Provincia di Belluno non si dissolva, è la sola condizione che può garantire una vita dignitosa alla nostra gente.
Livinallongo–Fodom, posto incantevole delle Dolomiti, meta turistica ambita da molti, patrimonio dell’Unesco da preservare e noi montanari genere in via d’estinzione senza diritto completo all’istruzione. Sì, perché la nostra montagna, con i suoi 1.500 metri sul livello del mare, il nostro vivere quotidiano con tutte le sue problematiche è molto diverso da come lo vive e vede un turista, un cittadino di città, un politico, un ministro.
È difficile vivere in montagna. Lo è ancora di più quando si è lasciati da soli perché siamo troppo piccoli, troppo pochi. La nostra scuola media quest’anno sarà più piccola, perché mancano i numeri per mantenere tre classi distinte e ci hanno assegnato una pluriclasse. Non rientriamo neanche tra i «fortunati» che hanno avuto l’assegnazione di un docente in più, probabilmente neanche tra quelli ai quali verranno assegnate delle ore in più. Qui ormai sembra di giocare alla roulette, se hai fortuna salvi le classi, se no ti arrangi. Ma scherziamo? Si parla di scuola, scuola dell’obbligo! Mi chiedo perché i nostri figli non devono avere le stesse possibilità di accedere a un’istruzione di qualità alla pari dei bambini che vivono in città. Nonostante tutte le difficoltà intrinseche del vivere in montagna anche la beffa dei numeri che mancano!
Ecco perché ci sentiamo soli. Alcuni portano i figli a scuola in Alto Adige: una concorrenza dura, che ci fa perdere numeri preziosi, nonostante la nostra scuola sia una scuola di qualità che nelle prove «invalsi» è risultata di livello superiore alla media italiana. Rimbocchiamoci le maniche, mettiamoci tutti una mano sul cuore e pensiamo che la nostra comunità ha bisogno di noi, di tutti noi, per sopravvivere. La disgregazione della scuola è un brutto segno di decadenza e ha bisogno di tutte le nostre forze per rimettersi in piedi. L’amministrazione comunale darà il proprio contributo affinché possano essere pagate delle ore in più, per permettere alla due classi di apprendere l’italiano e la matematica separatamente.
Però tutto questo non è giusto. A ogni nuova campagna elettorale sentiamo slogan come «salviamo la montagna», «aiutiamo la montagna», «la montagna non deve morire». Io, nel mio piccolo, alle prossime elezioni non esiterò neanche un attimo. Diserterò le urne, perché la politica non mi rappresenta, non fa gli interessi della mia gente. Oppure, nonostante tutto mi aspetto che qualcosa possa cambiare in meglio, e allora tornerò a votare.
Michela Devich, una mamma montanara dai 1700 m di Agai, frazione di Livinallongo