Le Dolomiti sono un monumento dell’umanità. Diventeranno un monumento funebre. Dei montanari. Oggetto magnifico, che altri useranno, a loro piacimento. L’ultimo episodio di questa colonizzazione è la messa in vendita del patrimonio demaniale dello Stato. Sembra che il Cristallo sia stato valutato circa 250 mila euro. Meno di un appartamento. Un’altra umiliazione e un segno dello spregio per la montagna, che la cultura urbana non capisce, non comprende e disprezza. E deprezza. Svendendola e riducendola a valore economico ridicolo. Perché la considera, ci considera, ridicoli e futili. Un giocattolo della domenica. Senza valore, senza senso, senza diritto alcuno.
Un territorio, agli occhi della modernità, drogata dall’economia, selvaggio e naturale. Le nostre crode, già considerate “ruinose ed inutili” dall’agrimensore Gasparo Montan, nel 1763, sono selvagge e naturali quanto i cittadini sono perspicaci e modesti. Ogni prato, ogni bosco, ogni dannata pietra, che forma lo scenario degli “holydays” è il frutto del durissimo lavoro di montanari pazienti, abili, tenaci ed intelligenti, che hanno trasformato ogni lembo della montagna per renderla domestica, vivibile e bellissima. Trasportando, ogni primavera, la terra scesa a valle dei campi per riportarla a monte e tenerla al posto suo. Perché ora, su quella terra, ci sia posto per dei dannati pic-nic. Tenendola su, pietra su pietra, con muri a secco, canali, scoli, argini, briglie e alternando prati, campi, orti, boschi e siepi, costruendo la trama e l’ordito del paesaggio dolomitico. Che, ora, alcuni, ciechi per ignoranza e presunzione, definiscono “pittoresco”.
Le Dolomiti non hanno prezzo. Valgono più di chi le vuole vendere. C’è più anima, storia, cultura e vita sulle crode e sui pascoli di Cima Pape, del Col di Lana, del Pore, del Cernera, del Zovo che nel cervello disabitato di coloro che intendono “vendere” una sola di queste montagne. Senza sapere cosa sono e dove stanno. L’abbrutimento dell’inciviltà liberista è divenuto intollerabile e disumano. Ogni cosa può essere comprata e venduta. Le montagne, le persone che le abitano, la dignità, ogni sentimento, ogni attività umana ridotta a merce. Sciavo suo sior!.. dicevano a Venezia per salutare. In montagna si diceva “bondì”, e “sani”.
Sono circa quaranta anni che la Regione Veneto legifera dimostrandosi incapace di produrre politiche agricole, commerciali, industriali, scolastiche e turistiche su misura della montagna. Non hanno mai inteso la necessità d’interventi diversi per ambienti diversi dalla padania. E non l’intenderanno nemmeno ora, visto il testo delle proposte di modifica dello Statuto regionale, nel quale non si affida ai montanari alcuna decisione autonoma. Ci considerano inaffidabili e rompiscatole: voi e la vostra specialità! Non siamo speciali, siamo uguali agli altri veneti. Solo che le politiche regionali, a differenza degli altri, ci portano all’estinzione. In regione siamo il 4,2% degli elettori. Non abbiamo alcuna rilevanza. E i risultati si vedono: ogni anno muoiono 800 bellunesi più di quelli che nascono. Il saldo naturale (nati meno morti) è negativo dal 1990. Gli anziani sono 1/4 dei residenti, in molti Comuni ci sono 4 anziani per ogni ragazzo con meno di 15 anni. Alcune comunità sono già sparite e in molti paesi non si vive ma si sopravvive, attendendo che tutti scendano a valle e le loro proprietà diventino luoghi di speculazione economica senza freno. A Selva di Cadore il 78,7% delle abitazioni non sono occupate. Come vivere in una “ghost city”?
La provincia di Belluno ha il più basso indice di fecondità, di natalità e di nuzialità e il più elevato indice di divorziabilità del Veneto. Non ci sono più le basi della riproduzione della specie. L’indice di crescita è – 0,2, contro il 7,1 del Veneto, il 9,2 di Bolzano, l’8,1 di Trento, l’8,7 di Padova. Sono state erose anche le basi umane della produzione perché, per ogni tre attivi che lasciano il lavoro, uno solo li sostituisce. Così ci mancheranno circa 13-15 mila persone attive e senza lavoratori non si potrà mantenere l’attuale reddito (circa 5.900 milioni, 30 mila procapite), né mantenere le persone inattive. Il 60% dei lavoratori sono occupati nelle manifatture, contro il 30% di Trento, il 28% di Bolzano e del Tirolo. Così siamo molto più esposti agli effetti della crisi economica internazionale. Quasi tutte le imprese consistenti fuggono dalla montagna, ultima la Marcolin, da Domegge di Cadore.
Circa 3.000 residenti l’anno si trasferiscono verso la Valbelluna e la pianura veneta. I 2/3 dei giovani diplomati e laureati se ne vanno. A questo punto ci restano solo due strade: la rassegnazione (sciavo suo sior!) o andarcene dal Veneto. Questa Regione, (alla quale resteremo legati, per lingua, storia, tradizioni e cultura) e le sue elites politiche sono incapaci di comprendere ed affrontare il declino della montagna Bellunese. Non hanno nessun interesse politico a farlo. Non è colpa loro, sono ciechi e sordi. L’orgoglio di vivere in uno dei posti più belli al mondo non salverà le nostre comunità dall’estinzione. Per noi le montagne non sono crode ruinose ed inutili. Sono luoghi dello spirito, magnifici e faticosi, essenza costitutiva della nostra identità personale e comunitaria. Venderle significa vendere la nostra anima, trasformare gli uomini e le loro storie in merci da consumare. Francamente, preferisco immaginare la mia vita sulla banca soliva del Sas de Mura, piuttosto che pensarla simile ad un discount dello spirito, sperso nelle nebbie, tra le tangenziali della metropoli veneta. Forse è arrivato il momento che i montanari “i se desmisie fora”.
Sani. – Diego Cason