Questa parola ha perso il significato originale. Il peggior difetto di chi descrive i fatti è la miopia. Non è una colpa, è inevitabile. Se concentri lo sguardo sui dettagli, per dovere analitico, perdi di vista il panorama. Per vedere bene una città e valutare l’altezza delle sue torri, è necessario allontanarsi da essa, inoltrandosi nella campagna che la circonda. Così è per l’autonomia. Questa parola feticcio, abusata quant’altre mai, ha perduto il proprio significato autentico. Deriva dal greco autos (se stesso) e nomos (legge). Kant, Rawls, e Frankfurt la ritengono una proprietà della volontà e un diritto individuale e le assegnano un posto centrale nell’etica e nella filosofia politica.
L’autonomia attiene alla ragione e alla volontà. Negli ultimi trent’anni, invece, questa parola s’è caricata di pulsioni e d’istinti, di rabbia rancorosa, di privilegi e di esclusioni. Essa è diventata preda di una politica d’infimo rango, usata come arma ideologica, trattata come un idolo risolutore d’ogni problema e detestata a priori, perché utilizzata dall’avversario politico. L’autonomia non è un fine ma un mezzo, uno strumento di buon governo. Nessuno ha più uno sguardo limpido. Un caso di miopia sociale, di massa.
I cittadini della montagna (già questo è un ossimoro) hanno necessità di autogoverno per garantire la sopravvivenza delle comunità nelle Dolomiti bellunesi. Liberiamo la mente dai pregiudizi e usiamo la responsabilità nel riflettere, che riguarda sia l’ottica (come la miopia), sia l’intelletto di chi sa di conoscere. L’autonomia individuale si raggiunge solo con intense e significative relazioni con gli altri. Nessun essere umano può sopravvivere da solo e la stessa cosa vale per le comunità. Perciò l’autonomia non è un “fare da soli”, uno scacciare gli altri, fuga dal mondo, isolamento. Associare l’autonomia a secessione, a indipendenza, xenofobia, al richiudersi in un piccolo, isolato mondo alpestre è idiota. Dal greco idìotes privato e dal latino idios proprio, particolare. E’ sorprendente quanto la sapienza antica illumini il presente.
Il mondo che abitiamo è sempre più interdipendente e la globalizzazione ha scardinato le relazioni protette da Stati nazionali e da appartenenze regionali. Ci si sente più insicuri e si cerca protezione. Al posto della paura servono autonomia e collaborazione. Sarebbe utile la riforma delle pubbliche amministrazioni, divenute inadeguate ai propri compiti. Prima serve consolidare le comunità locali, dotandole di autogoverno, per meglio dialogare col mondo. Dal quale dipendiamo, visto che metà del Pil bellunese è prodotto dall’export e ogni anno ospitiamo 850mila turisti.
Sono le leggi che permettono alle società di governarsi. Chi ha il potere legislativo decide. Scegliere è il potere politico. La Regione legifera nell’interesse dei suoi cinque milioni di abitanti di pianura. Questa è la democrazia. Peccato che condanni i montanari all’estinzione. In Veneto 200mila bellunesi non hanno potere, non valgono nulla. Perciò è opportuno trovare casa in altra comunità, con la quale si condividono problemi e soluzioni. Quando l’edificio in cui si vive diventa inagibile bisogna traslocare. Dispiace, perché nella vecchia casa ci sono i ricordi ma, se vuoi vivere, devi cambiare.
L’unico trasloco possibile è quello permesso dalle leggi ed è previsto dall’art.132 della Costituzione. Per ottenere l’autonomia serve una legge costituzionale. Anche se il titolo V della Costituzione è un groviglio mal pensato, che complica il passaggio alla Regione Trentino Alto Adige. II fatto che la Costituzione prima affermi e poi ostacoli il diritto di autodeterminazione dei bellunesi non è l’unico paradosso.
Ottiene l’autonomia chi ha il potere di esigerla, poiché essa non si dà ma si prende. Non avendo potere, ci serve l’aiuto degli altri (Trento Bolzano, regione Veneto, Parlamento). La cattiva politica ha sempre bisogno di nemici, quella buona di amici. Tuttavia, non è rilevante se altri ci lasceranno andare o ci accoglieranno, ma se i bellunesi vogliono l’autogoverno e sono disposti ad assumersi gli oneri che comporta.
Nonostante le difficoltà per una legge costituzionale dal Parlamento (di non eletti) non c’è scelta, tranne rassegnarci a marginalità ed estinzione. Nel secondo caso diventeremo il primo patrimonio dell’umanità estinta dell’Unesco. Come ammoniti, di noi resterà, forse, una traccia fossile.
Diego Cason