Interamente tratto da una nota postata dal sindaco Michele Balen sul proprio profilo FB:
C’è chi li promuove, chi li sostiene, chi li avversa, anche con decisione, chi li snobba e chi li ignora o finge di ignorarli, anche se ignorarli è diventato ormai difficile. Parlo dei referendum di consultazione popolare per passare, armi e bagagli in mano, al Trentino Alto-Adige.
Il mio Comune ha ricevuto la richiesta, sottoscritta da un cospicuo numero di cittadini, di indire il referendum, e ha deliberato a favore, con voto unanime dei consiglieri comunali. Poi le competenti autorità romane hanno autorizzato la consultazione e ne hanno stabilito la data.
Dunque il referendum… s’ha da fare.
Ora mi permetto due parole sul tema.
Fin da quella volta che Napoleone Bonaparte pestò coi suoi calcagni questa nostra terra, che oggi chiamiamo “provincia di Belluno”, i nostri comuni sono inscritti nell’ente amministrativo allora chiamato “Dipartimento della Piave”. In oltre due secoli di storia la nostra provincia ha conosciuto varie vicissitudini, lunghi periodi di miseria e brevi e rari momenti di fortuna.
Il Feltrino, che prima d’allora era del tutto autonomo, ha perduto nella provincia quasi tutte le sue istituzioni più importanti. Il resto del territoro, il Cadore, l’Agordino, il Comelico, l’Alpago… non se la passa meglio: non ha visto che rari e localizzati esempi di sviluppo e di benessere, mai nulla a che vedere col benessere e con lo sviluppo del Trevisano, tanto per dire.
Onestà e laboriosità delle popolazioni “bellunesi” non sono valse che ad ottenere le briciole di quanto hanno ottenuto nel frattempo i fratelli trentini col loro statuto speciale.
La Provincia di Belluno ha avuto oltre duecent’anni di tempo per dimostrare la sua forza e la sua efficacia nel difendere e nel promuovere al meglio i suoi territori. Com’è andata, vogliamo fare due conti? Siamo soddisfatti di questa provincia?
Se i risultati non ci soddisfano dovremmo semplicemente e saggiamente prenderne atto.
E se lo stato attuale delle cose, che vige da secoli, sia efficace o meno ha da dircelo la statistica; e se siamo soddisfatti o meno ha da dircelo l’uomo della strada che fa i conti con la fine del mese.
Io difendo l’unità della Provincia, sia ben chiaro, ma l’unità non fine a se stessa, non come un valore assoluto, bensì come uno strumento per governare i nostri paesi. Non altrimenti.
Per fortuna, io dico, l’unità della provincia di Belluno non forse è nè l’unico nè il più efficace strumento per difendere e sostenere le nostre ragioni. Per fortuna vi sono altre vie, vie che altri tentano di percorrere, come fanno i comitati referendari e come fanno quei cittadini che i referendum li hanno chiesti e sottoscritti. Fanno bene a tentare strade impraticate? Non lo so, ma parto dal principio che “tentare altre vie” sia sempre un atto d’intelligenza e di coraggio.
In ogni caso io sono il sindaco di Cesiomaggiore, sono al servizio dei miei cittadini e sento il dovere, anzi, il “sacrosanto dovere”, di dare ai cesiolini la possibilità di esprimersi sul futuro del loro Comune; come sento di sostenere le loro ragioni e di attendere di conoscere la loro volontà, quale essa sia, per tenerla nel giusto conto, com’è mio dovere.
Per questo non mi limiterò a difendere soltanto la Provincia di Belluno e la sua unità, ma sosterrò parimenti le ragioni e il diritto di chi ha chiesto il referendum per il distacco dal Veneto, ritenendo che vi sia soltanto un’apparente contraddizione in questa scelta, ritenendo che prima di ogni altra cosa venga il bene della mia gente e che ogni strada democratica e legale per ricercarlo sia pure legittima.
Il referendum consultivo è uno strumento legale e democratico ed è volto al bene del mio paese, allora ben venga il referendum, al di là dei suoi costi che sono dei costi dovuti alla democrazia.
Aggiungo infine che la strada della specificità della Provincia di Belluno nella Regione del Veneto è sempre valida e aperta. Ma deve diventare sostanziale, reale e palpabile. Sarà questa sostanzialità, e l’equità fra i territori, che toglierà eventualmente senso ad altre scelte. Per ora vi sono ragioni storiche, identitarie ed economiche che rendono più che rispettabile la scelta dei referendum.