Il tempo è galantuomo. Si usa spesso questo modo di dire per indicare che l’irriducibile consistenza dei fatti, prima o poi, fa piazza pulita delle nostre illusioni. È dal 13 dicembre 2011 che il Consiglio provinciale è stato sciolto e l’ente provincia è governato da quattro commissari. Alcuni irresponsabili furono ben lieti di affossare l’unico organo di rappresentanza collettiva delle comunità bellunesi.
Oggi i risultati si vedono. Le nostre comunità sono prive di qualsiasi capacità di rappresentare e tutelare i propri interessi, sia con la Regione sia con lo Stato. Ciò si traduce, nei fatti, in una riduzione delle risorse economiche disponibili per rispondere ai bisogni pubblici delle comunità e nella totale assenza di strategie idonee ad affrontare e risolvere, almeno in parte, i gravi danni prodotti da una prolungata e pesante recessione economica. Altri, altrettanto irresponsabili, si cullarono nell’illusione di ottenere maggiori poteri per le comunità locali eliminando l’istituzione provinciale. Invece, lo spazio amministrativo lasciato vuoto è stato occupato da un nuovo centralismo regionale che avoca a sé funzioni amministrative che non gli appartengono. Non ci voleva molto per capire che quanto più piccola e debole è la comunità tanto minore è la sua capacità contrattuale e la sua rilevanza in sede regionale.
Questo indebolimento comunitario ha privato di forza rappresentativa e contrattuale anche i nostri rappresentanti in consiglio regionale che, in ogni caso, erano in condizione minoritaria già prima. Il 17 aprile 2012 fu approvato il nuovo statuto regionale nel quale, per la prima volta, si riconosce la specificità nostro territorio. Alla provincia di Belluno sono riconosciute forme e condizioni particolari di autonomia amministrativa, regolamentare e finanziaria in particolare in materia di risorse idriche energetiche, viabilità e trasporti, agricoltura e turismo.
Chiunque abbia occhi per vedere, vede che la Regione autorizza tutte le captazioni idriche chieste dai privati, ostacolando quelle dei comuni; il nuovo piano dei trasporti regionali esclude ogni investimento in provincia di Belluno; l’agricoltura di montagna continua a essere penalizzata dalle politiche regionali; quanto al turismo basta leggere la nuova legge quadro per comprendere che in regione del turismo montano non importa nulla a nessuno.
Il 7 agosto 2012 la legge 135 stabilì l’eliminazione di tutte le province e, il 6 novembre con il D.L. 188, la provincia di Belluno, pur salvata dall’accorpamento, è trasformata in ente di secondo grado privo di sovranità. Per la Regione Veneto questo è un regalo inaspettato, che impedisce, di fatto, l’applicazione dell’articolo 15 dello Statuto, approvato solo quattro mesi prima. A questo punto, sarebbe stato un dovere, in particolare di chi ha responsabilità istituzionali, prendere atto che dallo statuto regionale non arriverà mai, nei secoli dei secoli, alcuna delega di poteri alle comunità bellunesi.
Ma le istituzioni non capiscono o non vogliono capire. I cittadini, invece, capiscono prima e meglio dei loro rappresentanti come stanno le cose. In nove comuni propongono l’unico strumento istituzionale, lecito e pacifico disponibile, per far emergere le gravissime difficoltà delle comunità bellunesi prive di strumenti amministrativi, senza risorse e con una legislazione regionale inadeguata. Propongono alle proprie istituzioni comunali, che accolgono la richiesta, il referendum previsto dall’articolo 132 della Costituzione e chiedono il trasferimento delle loro comunità nella Regione Trentino Alto Adige. È chiaro a tutti i promotori che questo trasferimento è quasi impossibile ma, la manifestazione della volontà popolare, è l’ultimo potere residuo per esprimere i propri bisogni e interessi suggellandoli con un voto. Questi referendum sono stati vinti in tutti i comuni, anche in quelli in cui non è stato raggiunto il quorum. Escludendo Feltre e Cesiomaggiore la partecipazione al voto è stata altissima e la percentuale dei SI supera il 95%. Ma istituzioni, associazioni e persone innamorate di un Veneto inesistente, non capiscono neanche dopo questo risultato.
I più pigri, presuntuosi e stupidi, lo liquidano come manifestazione secessionista quando, invece, è stata una straordinaria testimonianza d’impegno civile per la gestione unitaria e autonoma degli interessi di tutte le comunità bellunesi. Essi scambiano i propri pregiudizi con la realtà. Adesso il gioco è finito. Chi, ben remunerato dal Veneto, ha ostacolato la volontà dei cittadini si ritiri a vita privata. Ora, per capire chi sta con i bellunesi e chi è contro di loro, basta distinguere chi esige una comunità provinciale dotata di sovranità elettiva da chi continua a implorare (se no xe de disturbo par la vostra signoria, xe vero, servo suo sior…), che il Veneto, di tanto in tanto, ci butti qualche osso sotto al tavolo.
P.S. A dicembre 2012 i Comitati referendari chiesero ai Consiglieri regionali bellunesi di organizzare un incontro con il presidente del Consiglio regionale del Veneto per presentargli obiettivi e ragioni dei referendum che hanno coinvolto trentanove mila veneti. Dopo sei mesi, l’incontro non è ancora avvenuto. Un esempio di sollecita e amorosa cura per il popolo veneto.
Dai “confin delo stato da tera”, grazie a tutti per l’impegno.
Diego Cason