Dal Corriere delle Alpi del 25 ottobre, con una certa soddisfazione:
BELLUNO. Nella giornata di sabato si sono avvistati banchetti ad Arredamont di Longarone, a Cencenighe, a Borca e Feltre, ieri si è replicato a Limana e a Faller di Sovramonte per la fiera del pom prussian. La mobilitazione per la provincia autonoma e la regione dolomitica ormai è generale. Solo in piazza dei Martiri, sabato mattina, hanno firmato in oltre un centinaio. Tanti anche quelli che hanno voluto contribuire alla “battaglia” mettendo mano al portafogli con piccole offerte. «Siamo sfiduciati dalla politica. Serve un elemento di rottura», afferma una giovane coppia di Castion. Dal comitato parte un appello: «Il consiglio provinciale attivi la procedura».
Cento firme sono state raccolte anche a Cortina. In testa il sindaco di Pieve, Maria Antonia Ciotti. «La gente di Roma e Venezia non riesce a capire le nostre ragioni. Non è questione di partiti ma di persone in grado di amministrare», affermano Erich Nart e Deborah di Castion, convinti che la priorità, oggi più che mai, sia il lavoro: «L’autonomia potrebbe aiutare, ma qui servono idee e persone nuove». Già, perché tra chi firma c’è la voglia di “cambiare”, di non “rassegnarsi”. Lo sottolinea anche Gianfranco Trotta, bellunese doc: «E’ una questione di principio. Dobbiamo diventare qualcuno». Ma Trotta scatta anche una fotografia ai firmatari della petizione: «Tra le persone che conosco e che ho visto firmare ci sono almeno cinque diversi credi politici. Penso sia un segno di democrazia». Per Fabio Meneghel «bisogna recuperare competitività: per Belluno è un handicap stare tra due regioni a statuto speciale».
Ma a promuovere l’iniziativa è anche Nicola Mastandrea, originario di Bari, ma residente a Belluno dalla fine degli anni Novanta: «Da quello che ho visto in questi anni, mi sono reso conto che Belluno ha bisogno di un salto in avanti. C’ è bisogno di una maggiore valorizzazione del territorio». Ma la parola ricorrente è sfiducia. Sfiducia nella politica e nelle istituzione, non solo locali ma anche nazionali. E proprio dalle istituzioni, in questo caso da palazzo Piloni, il comitato promotore si attende una rapida risposta: «Le nostre firme sono simboliche, è il consiglio provinciale che ha il potere di sbloccare l’iter previsto dalla Costituzione», spiega Moreno Broccon. Il riferimento va all’articolo 132 della Costituzione, quello attivato da Lamon e figli. Da qui l’appello: «La Provincia dovrebbe avviare l’iter e dare la parola ai cittadini. Vedo molto entusiasmo da parte di tutti e al di là delle appartenenze partitiche».
Ma se il mondo politico temporeggia imbarazzato, una risposta forte e chiara è arrivata dal fronte referendario tradizionale. Siro Bigontina, nei giorni scorsi, ha invitato gli ampezzani a non firmare. Perplessità sono state esposte anche da Renzo Poletti, il padre spirituale del referendum di Lamon: «Non voglio entrare nel merito della polemica», dice Broccon. «Penso soltanto che lo strumento referendario sia di tutti. Non ci sono primogeniture». A fine mattinata sabato, dopo poche ore di raccolta, le firme sono state oltre un centinaio. Questa la cronaca di una giornata che sta diventando ordinaria. Forse politici e istituzioni locali dovrebbero cominciare a interrogarsi seriamente sulle motivazioni di questa lenta “processione autonomista”. – Cristian Arboit