Gianni Secco,
settantaquattro anni, fondatore, insieme a Giorgio Fornasier, del duo “I belumat”, dopo aver suonato ne “le Ombre”, etnomusicologo, presidente dell’Associazione culturale internazionale Soraimar e del Centro studi e documentazione riti e carnevali di montagna, fondatore dell’Orchestra da Camera di Belluno e del Circolo bellunese Al Zenpedon è morto. Autore di moltissime canzoni che sono diventate la colonna sonora bellunese. Ma non solo, il suo rilievo è evidente in tutto il Veneto e la famiglia dei bellunesi e veneti emigrati ha diffuso la sua musica e le sue molteplici attività in tutto il mondo. Autore prolifico, originale, sensibile verso l’universo delle culture popolari, capace di delicata e graffiante ironia, attento ai sentimenti popolari e alla autenticità delle tradizioni. Dalla musica alla gastronomia, dal costume alle manifestazioni carnevalesche. È stato giornalista, musicista, cantante, animatore di eventi, dotato di una empatia contagiosa e di una formidabile presenza sulla scena.
Ma quello che è più importante è la sua autentica e coerente capacità di mettere in versi emozioni, sentimenti e ragionamenti in bellunese, senza mai vergognarsi della natura periferica, montana e rurale della ricca cultura dolomitica. Uno dei pochi intellettuali che non ha mai sentito il bisogno di allontanarsi troppo dalla fonte locale della sua ispirazione.
Gianni era persona colta, curiosa e tutt’altro che limitata alla cura del suo piccolo orticello artistico. Non sempre è stato stimato nel suo reale valore. L’apparente semplicità dei testi e dei temi musicali delle sue canzoni, il suo interesse per la cultura locale e popolare non tragga in inganno, dentro ai suoi interessi c’è sempre stato tanto lavoro, tanta passione, tanta cultura. Accanto a testi classici dei quali, insieme a Giorgio Fornasier, ha saputo cogliere i significati culturali e antropologici oltre a quelli musicali, ci sono canzoni come “La badante”, “I veneziani” o “Vita basa” che sono documenti di critica sociale contemporanea. Altre, come “Atu mai pensà” e “Eutanasia” sono documenti di poesia musicale di altra natura, mostrando una prodigiosa capacità di cambiamento.
A questo si aggiunge la grande attenzione all’immagine che di sé hanno i bellunesi, perennemente in soggezione verso la cultura urbana, autori e vittime di uno sviluppo veloce e non sempre ben digerito, verso i quali c’è un’affettuosa solidarietà ma anche severe critiche.
Un acuto osservatore della realtà nella quale stava immerso e di cui è stato cantore empatico e creativo. La sua morte è grande dispiacere per chi l’ha conosciuto.
Le nostre condoglianze alla famiglia e a tutti gli amici che non avranno nemmeno la consolazione di poterlo accompagnare in questo ultimo viaggio.
Quest’ultima tristissima occasione per stare insieme, senza il suo pubblico, non gli sarebbe piaciuta.